Dalla comunicazione della Sig.ra Barbara:
Mi chiamo Barbara e sono socia del S.I.D. Servizio Informazione Disabili L'altro mondo, un'associazione culturale che opera, di fatto, all'interno della Facoltà di Psicologia La Sapienza, Roma. Il servizio nasce dall'esigenza di raccordare le diverse realtà che sul territorio romano ed italiano si occupano di disabilità. Tra i vari uffici all'interno della nostra Associazione vi è l'Ufficio Formazione, il quale, lavorando soprattutto sugli stereotipi legati al tema della disabilità, è preposto all'organizzazione di spazi di formazione destinati a studenti, insegnanti, operatori, persone con disabilità, familiari, servizi territoriali, associazioni del settore, persone che a diverso titolo si interessano al tema della disabilità al fine di creare competenze specifiche e stimolare l'interesse delle persone sul tema della disabilità. Quest'anno abbiamo attivato, tra gli altri, un corso di formazione sulle disabilità rivolto a persone che a diverso titolo si interessano al tema della disabilità al fine di creare competenze specifiche e stimolare l'interesse delle persone su questo tema. Il corso dell'A.A. 1998/1999 si articolava in nove incontri settimanali, della durata di due ore ciascuno e verteva su diversi argomenti riguardanti la disabilità. Tra gli incontri ve ne è stato uno, tenuto da un mio amico cieco da nove anni, che ha destato particolare interesse nei partecipanti, trattando un tema decisamente fuori dell'immaginario comune. Tanto io quanto il mio amico abbiamo pensato di divulgare ulteriormente questa tematica e a tal fine vi spediamo la relazione del suo incontro (anche se una semplice relazione non potrà mai essere interessante quanto l'incontro stesso). Tengo a precisare che questa iniziativa parte direttamente da noi due, non dal SID; pertanto, se volete farci conoscere il vostro parere scrivete al mio Email (Sirione@mclink.it) o telefonate ad Antonio, il mio amico (0339/5301107).
4. I NON VEDENTI di Antonio Selvaggi Si invita il lettore ad appuntare difetti, critiche, dubbi e impressioni di questo articolo leggendo per ultima questa prefazione al seminario onde affrontarlo senza essere influenzati dall'esperienza e dalle riflessioni di chi ha organizzato l'incontro. Ho scelto questo punto come introduttivo e non conclusivo per ragioni di forma; anche perché le conclusioni (spero) le tirerà il lettore. Vi invito a mandare un vostro elaborato ai seguenti indirizzi: Via Odescalchi, 38 - 00147, Roma. Tel.: 0339/5301107 - 0651301825 - Viale Giovanni XXIII, 30 - 75013, Ferrandina (MT) Tel.: 0835555695 S.I.D. C/O Facoltà di Psicologia - Via dei Marsi, 78 - 00185, Roma. Email: Sirione@mclink.it Se ne avrete piacere cercherò di corrispondervi. Mi permetterà tutto ciò di avviare un processo dialettico che sicuramente contribuirà ad altre riflessioni e miglioramenti e, soprattutto, a dar vita ad un semplice articolo 4.1. Prefazione Un paio di mesi prima della realizzazione del seminario mi trovavo a casa, in Basilicata. Mi arrivò una telefonata da Roma, dove l'odierna dottoressa Barbara Cozzolino, nonché segretarie del SID e mia amica, mi chiedeva di intervenire al corso di formazione per trattare il tema della cecità. In un primo momento, pur dando il mio assenso, ho avuto qualche dubbio su ciò che avrei potuto fare. Tuttavia i ricordi di trascorsi e vissuti legati a visite, incontri, studi nei vari ambiti dell'arte mi si sono riaffacciati visitando una mostra a Ferrandina, mio paese di origine. Uno dei miei timori è stato di non dare al mio intervento un taglio eccessivamente pesante, noioso o tecnicistico; anche perché non mi sentivo competente in materia. Al contrario il mio voleva essere un approccio creativo all'argomento e soprattutto che si trattasse l'handicap dal punto di vista esistenziale. Partivo quindi dal presupposto che la disabilità si trasformava in handicap nel momento in cui un limite, di natura fisica o psichica, non trovava alternative; anzi, invece di avviare ad un processo di crescita, una mentalità del genere portava ad una cecità, per l'appunto, mentale, sinonimo di chiusura, stereotipi, luoghi comuni di incomprensione Partendo da questo presupposto la mia intenzione doveva necessariamente dar spazio a chi partecipava di riflettere su determinati atteggiamenti propri; senza necessariamente sentirsi incapaci di comprendere una realtà solo perché non vissuta negli stessi termini. Ossia, un vedente può sentirsi annullato, perciò anche impaurito, dalla realtà del cieco solo perché c'è una differenza di tipo fisico. Un discorso del genere, a mio avviso, è da sentirlo da ambo le parti: sia da parte del cieco nei confronti del vedente, sia il contrario. Per tornare al discorso esistenziale, quanti di noi si sono mai sentiti timidi, brutti, stupidi, ciechi, di colore "E non negri"... fino a compilare una lista che può essere interminabile? Quanti di noi hanno reagito a tutto ciò con una chiusura? E quanti di noi, invece, cercando di vedere al di là del proprio palmo di naso hanno scoperto nuove realtà sia esterne che interne...? La risposta è talmente semplice che, per ovvia fiducia, la lascio al lettore. Ma ritorniamo alla nascita del seminario! Da buon egocentrico volevo in ogni modo creare qualcosa di molto barocco che stupisse; tanto da divertirmi io non senza i partecipanti. Con gusto dei paradossi, perciò, mi appellai all'idea della cecità trattata attraverso forme, suoni, ma soprattutto, colori, con tanto di opere d'arte in rilievo nonché stampe di quadri famosi. Avevo previsto anche l'impatto con il sonoro ma per alcuni contrattempi sono stato costretto a farlo passare in secondo piano, se non ad eliminarlo. Prima di passare alla descrizione del seminario, che reputo, purtroppo, "riduttiva" perché non vissuto, preferisco continuare a raccontarvi di come si è formato, in quanto per me e chi per altri mi ha aiutato è stato un "seminario prima del seminario stesso. L'idea però, prima che arrivasse alla completa realizzazione, ha richiesto continue modifiche e rifacimenti, in funzione di suggerimenti e circostanze. Tra i punti che ho ritenuto di rispettare c'erano in contemporanea sia il titolo che le tappe esperenziali da percorrere; ossia uno specchietto teorico e organizzativo da cui partire. Nello spiegare a Barbara le mie intenzioni la sua sintesi è stata: "Lo scopo di questo incontro era di trattare solo indirettamente la questione della cecità, patendo, invece, da un argomento che, stereotipicamente, poco ha a che vedere con questo tipo di disabilità: l'arte e l'estetica. In una cultura in cui si è sempre dato molto peso alla forma estetica, si è, infatti, portati a pensare che la bellezza, ad esempio, di un'opera d'arte, sia percepibile esclusivamente mediante il canale visivo." Il titolo, perciò, non poteva essere altro che stereotipi e limiti, in opposizione a bellezza e sensi. L'ordine con cui procedere, dal punto di vista della forma, è stato il dover passare dalla bidimensione alla tridimensione. Quindi attraverso una descrizione in primo luogo con le stampe e, successivamente, sempre con l'ascolto della descrizione ma, questa volta, con il supporto di tipo tattile, con gli spaccati in rilievo. Il cammino poi sarebbe proseguito, come terza tappa, con l'ascolto di musica di tipo descrittivo, con testi ricchi di simboli e immagini: infine, come ultima tappa, con un film in audio cassetta, con commento esplicativo - sincronizzato, il quale interveniva nei momenti in cui il film non permetteva di capire solo con l'audio determinate scene (1). Sia il film che la canzone, però, cadono nel sonoro ed ambedue evocano immagini; allora vi chiederete: perché presento queste due performance come tappe differenziate se hanno la stessa funzione di 1. Per esempio: se sento il suono "toc" potrebbe essere il bussare ad una porta, lo sbattere accidentale ad un comodino, lo sbattere di una porta grazie al vento, un oggetto che cade, o altro ancora. evocare immagini? È appunto quello che mi sono chiesto anch'io nel momento in cui ho trovato questi due mezzi per parlare del sonoro e la risposta che in un primo momento mi è venuta è che non vi è assolutamente nessuna differenza se non nel fatto che in un caso c'era musica ed armonie e nell'altro in particolare parole e dialoghi. C'è tuttavia una differenza di tipo sostanziale che pian piano si è palesata nel momento che lo sforzo implementativo dal punto di vista sinestetico era diametralmente opposto. La musica, quindi, costituiva un esempio di sforzo sinestetico che parte dall'uditivo per approdare agli altri sensi, come, ad esempio, il visivo; mentre il film in audiocassetta commentata rappresentava un altro sforzo sinestetico che parte dal visivo e si traduce in particolare in uditivo. Come ho già detto però queste ultime due tappe sono state messe da parte ma ho voluto ugualmente descriverle per completare il quadro. Ho tralasciato il palato e l'olfatto per ragioni logistiche di tempo, cose che rimando a possibili altri seminari. Per quanto concerne le prime due tappe non mi bastava di certo la mia esperienza e, di conseguenza, ho cominciato ad intervistare altri ciechi di vario tipo. Intendo, per vario tipo, ciechi che erano disabili dalla nascita, molti dei quali mi hanno risposto, riguardo alla bidimensione, con pieno disinteresse dal punto di vista figurativo ma attratti dall'idea o lo spunto che l'estetica esprimeva. Differente è stata la reazione di alcuni ipovedenti con i quali ho potuto tranquillamente parlare di arte con relativo riscontro di interesse per le forme tridimensionale e bidimensionale. Uno di loro aveva anzi approfondito a livello scolastico facendo il liceo artistico; particolare che mi ha piuttosto motivato ad andare avanti in questa ricerca, in quanto era un'ulteriore prova contro quei pensieri semplicistici che avrebbero urlato: "Non è possibile! Fai altro!". Tutte queste persone più o meno cieche hanno costituito un bagaglio di tipo soprattutto esperenziale. Per quanto concerne il materiale teorico e pratico. mi sono rivolto infatti a chi viveva dall'altra parte della trincea l'esperienza sinestetica, nell'ambito dell'insegnamento e dello studio di queste tematiche. Ho contattato quindi il prof. Miglietta e il prof. Bizzi Sapevo che ambedue avevano realizzato gli affreschi della Cappella Sistina attraverso delle cartine in rilievo; cosa che per quanto a molti di voi possa sembrare discutibile o illusoria è a mio avviso un tentativo pioneristico che potrebbe aprire sempre e comunque e possibilità. Come il prof. Bizzi mi raccontava molte sono state le critiche mosse sulla validità di questo lavoro da sue colleghe e insegnati corsiste. Tuttavia per meglio entrare nella bellezza di un dipinto, che nel caso della Cappella Sistina è di statura sia artistica che dimensionale notevole, non è certo soddisfacente un semplice colpo d'occhio. Un bagaglio conoscitivo oltre la fondamentale contemplazione dell'opera di certo amplia la possibilità di viversi il dipinto. Viaggiando su un ragionamento del genere si può intuire quanto pur difficile ma non impossibile sia approfondire per un cieco tale conoscenza delle tavole progettate da questa equipe. Dopo, infatti, diverse provocazioni che il prof. Bizzi ha accumulato, un'insegnante cieca, incuriosita, ha raccolto questa sfida: con molta pazienza le sono state descritte, con oculatezza, le varie tavole mentre quest'ultima le leggeva tattilmente. Con molta pazienza hanno seguito tutto un percorso logico per accedere alla visione completa di ogni tavola. Con molta pazienza ogni tavola è stata, come per un puzzle, collegata a tutte le altre per avere un'idea globale di tutto l'affresco. Con molta pazienza si è verificato quanto a questa donna fosse rimasto della spiegazione. I risultati ottenuti sono stati: a) la donna sapeva ormai muoversi anch'ella liberamente nella descrizione del dipinto. Particolare che lasciava trasparire una certa comprensione dell'opera e dell'idea sviluppata dall'artista; b) la fatica per una prova così lunga era praticamente annullata dall'entusiasmo della test per avere finalmente approfondito la conoscenza di un'opera di tale valore artistico: c) tale disprezzo della stanchezza e la vitalità - entusiasmo hanno smosso sino a dissolvere molte di quelle critiche, più dei tanti discorsi che Bizzi ha potuto fare. L'arte è perciò un diritto morale a cui tutti devono poter accedere. Ricordo di essere stato messo in guardia da certi sforzi descrittivi sinestetici che accomunano sensazioni tattili: il fuoco = calore = rosso; la neve = freddo = bianco. Ma se un cieco dalla nascita tocca un'anguria, semmai di frigorifero, di che colore la percepirà secondo tale logica? Naturalmente non credo si voglia dire con tutto ciò che ricorrere a tali similitudini sia necessariamente sbagliata; ma sicuramente il pensare di risolvere la barriera descrittiva del colore con tale prospettiva può essere riduttiva e limitante. In soldoni questo è stato il mio incontro con B, oltre ad avere approfondito in seguito la conoscenza dei plastici in rilievo realizzati dalla fondazione pro ciechi. Altro personaggio fondamentale di questa vicenda è stato, per l'appunto, il prof. Miglietta, da tempo segnalatomi da due miei amici, Tony Brunetti e Salvatore Vaccaro. Ambedue avevano frequentato il Liceo Scientifico Socrate con Miglietta come professore di educazione artistica. Gentilmente, dopo la presentazione, con molta tranquillità mi ha illustrato alcune delle sue perplessità; perplessità sorte nel momento in cui, al di là del cieco o non cieco, si verifica la difficoltà di trasmettere le proprie conoscenze per vivificare anche l'interesse e lo spirito critico nei riguardi di un'opera artistica: quanto perciò è importante un tipo di descrizione e la potenza della parola più che una semplice spiegazione di tipo accademico. Questa problematica, mi si diceva, s'era accresciuta nel momento in cui erano giunti i "casi particolari". Infatti trapelava, mi sembra, una profonda sensibilità e un profondo amore per l'arte. Questo, credo, l'ha spinto ad un rispetto per la trasmissione della bellezza artistica e sarebbe risultato un affronto alla propria "intelligentia" alienare da tale difficoltà un cieco perché non vede: ricorrere all'escamotage di far dire semplicemente "il pappone a memoria" è un errore, a mio avviso, che molti insegnanti fanno e chi più, chi meno nei vari ambiti, non solo scolastici, ha sperimentato. Tony è stato quindi un vero e proprio campo di battaglia nell'ambito sperimentale, dove, nell'interazione professore - alunno, ha giocato da cavia per i vari suggerimenti didattici. Suggerimenti ritornati utili, poi, anche al resto della classe, come il vivere l'esperienza scultorea attraverso il toccare dei modelli in miniatura, oppure assumere pose riproducenti tali forme, oltre ad una certa descrizione oculata. Con la pittura, che doveva necessariamente seguire un filo logico in modo da evitare sia un calo dell'attenzione che un disperdersi di informazioni, tale descrizione si approfondiva. La strategia, dunque, adottata si può illustrare con un esempio: consideriamo un quadro ambientato in una casa con delle persone. Si parte, dopo l'osservazione del quadro, dal dividere in compartimenti accomunati da particolari simili. Quindi lo sfondo, in questo caso la forma geometrica dei muri, poi la posizione dell'arredamento, la posizione delle persone, per poi ricollegare il tutto e dare così un'idea di insieme. E i colori invece? Riporteremo la descrizione dello stesso Tony: "Occorre specificare innanzitutto che egli [il prof. Miglietta] riproduceva per me, con una fotocopiatrice apposita, le stampe dei quadri d'autore in rilievo. Aveva trovato anche un sistema per fare una riproduzione approssimativa di quella che poteva essere la visione del colore. Quindi, un punto che era visibilmente più scuro veniva marcato con punti e linee più ravvicinati; per contro un punto che era visibilmente più chiaro era marcato con punti e linee più distanziati. Ovviamente questa riproduzione mi veniva spiegata passo per passo: mentr'egli spiegava alla classe io, avevo la riproduzione sottomano, per cui, mediante il suo aiuto, potevo procedere all'analisi del quadro. Nel definire però il colore specifico (rosso, giallo, verde...) si limitava a nominarlo semplicemente o, al massimo, a descrivermi la sfumatura. Senza inventarsi comunque cose strane." (domanda ): "ti facevi un'immagine del quadro?" (Tony): "Beh! Un minimo si!" Dopo il contributo ricevuto dai vari incontri poteva ritornare semplificato lo scheletro del seminario e potevo sicuramente dare qualche consiglio ragionato sulla tecnica descrittiva, siamo passati allora all'acquisto di stampe di quadri famosi e ci siamo procurati i plastici di sculture, spaccati, piante di opere architettoniche in rilievo. Oltre a ricercare informazioni sui libri d'arte, con relative fotocopie inerenti i quadri scelti, ognuno di noi ha sperimentato ambedue le posizioni: sia di chi da la descrizione dello spaccato che di chi, bendato, la riceve. In questo caso è risultato "manna dal cielo" e non trovo miglior sinonimo, Massimo D'Elia, un mio amico laureando in architettura, il quale per il suo spirito pratico e conoscenza della materia mi ha fornito un valido supporto nell'esecuzione descrittiva e terminologica, nonché profonda fiducia e adesione a questa idea. Insieme a Barbara Cozzolino, Valerio Sannetti e Emanuela Musi, Massimo ha costituito un ausilio fondamentale per la spiegazione guidata degli spaccati al seminario, pur essendo la prima volta. Un ringraziamento particolare va a Mirko e alla famiglia Patera per la fiducia nel lavoro e per avere contribuito economicamente finanziando l'acquisto del materiale. Spero vivamente con tale descrizione di aver dato un quadro ampliato al seminario. Chiedo scusa per i vari errori che avrò potuto commettere. Giuro che cercherò di migliorare. Già da ora, a coloro che diranno: "Non è possibile! So' tutte cazzate! Come se fa se nun ce vede 'na mazza?", rispondo che ciò è verissimo e mi congratulo per il genio scopritore dell'acqua calda. Tuttavia ricordo che, non a caso, il verbo vedere italiano, in latino, in forma passiva ha significato non di "essere visto" ma di "avere l'impressione di". E io ci riesco! E non solo io! E con tutta sincerità vedo in voi dei limiti. 4.2. Stereotipi, limiti, bellezza e sensi Il seminario doveva avere la durata di due ore. Quella sera abbiamo avuto la benedizione sia dal cielo che dalla terra, con tanto di diluvio universale e traffico. Situazione molto "fantozziana" che ci ha portato a ritardare di circa 20 -30 minuti. Per ovviare al ritardo ho telefonato a Debora Bartorelli, la responsabile dell'ufficio segreteria al S.I.D., onde avvisare il pubblico del nostro contrattempo. Ella mi ha avvertito della presenza di un mio collega di psicologia, per giunta cieco dalla nascita. Dal momento che avevamo già condiviso un altro seminario lo scorso anno ho pensato che la miglior cosa da fare fosse spiegargli il mio specchietto introduttivo e chiedergli di intrattenere il pubblico fino al mio arrivo. Purtroppo il ritardo ha fatto in qualche modo saltare gli schemi e un po' di quella calma che si richiedeva. Appena aggiunto, così, ho cercato di accelerare i tempi e ho attaccato con la presentazione al seminario: "Salve a tutti, il mio nome è Antonio Selvaggi, sono uno studenti di psicologia e sono cieco non dalla nascita ma ho perso la vista nel '90 in conseguenza a una ipertensione endocranica e conseguente compressione del nervo ottico. L'invito del mio seminario non è quello di farvi scoprire, bensì riscoprire quello che voi normalmente osservate. Partirò dunque dalla spiegazione del titolo stereotipi e limiti in opposizione a bellezza e sensi. Uno dei miei tentativi è sfatare il mito del diverso che si ricopre di stranezze paranormali solo perché la legge dell'adattamento riesce ad affinare maggiormente gli altri sensi. Un ingegnerie, d'altronde, per arrivare ad essere quello che è, avrà fatto studi ed esperienze per laurearsi e lo si può ammirare per il risultato di fatiche ma non credo si ricopra di quell'aura mistificatoria. Per quanto riguarda gli stereotipi mi appellerò a quattro esempi esplicativi che da una visione più distante arrivano ad una realtà stereotipica che mi colpisce in prima persona: a) donna al volante, pericolo costante; b) 'È omosessuale?... Ah! Io non ho niente contro di loro, basta che non ci provi con me; c) un cieco va al cinema. Che ci va a fare?; c) il cieco va ad una mostra di quadri. 'È impossibile!' a) questo pensiero non mi tocca direttamente per la diversità di sesso ma come persona si. Mi chiedo: ammettiamo per assurdo che ciò sia vero. Noto che se un maschio commettesse un infrazione potrebbe risultare imbecille, furbo, cattivo guidatore, inabile alla guida o perfino intraprendente. Gamma, questa, di ampie possibilità, addirittura meritorie. Se una donna fa la stessa cosa, potrebbe anche avere un attacco cardiaco ma, secondo questo stereotipo, la donna è cattiva guidatrice, in quanto semplicemente "donna". È chiaro che un atteggiamento mentale del genere da parte di chi giudica non va a considerare la persona o gli eventi (l'attacco cardiaco) "chiudendosi" in un'idea che insegna il falso. Chi subisce, invece, tale stereotipo, deve combattere, oltre che con la propria possibile difficoltà soggettiva, anche con un fantasma chiamato 'limite'. Le controindicazioni sono senza dubbio incomunicabilità, sensi di colpa e un ansia eccessiva per 'l'errore' della guida. b) Il secondo stereotipo mi avvicina alla dimensione di 'essere maschio'. Ammettiamo per assurdo che un omosessuale appena ti vede ti corteggia: si può tranquillamente rispondere di non essere interessati e non vedere l'altro come un malato di un morbo incurabile che può minare la propria stabilità. Credo che sia totalmente sbagliato non considerare 'l'altro' prima di tutto come una persona dotata di intelligenza e di autocontrollo, capace di scegliere se più o meno gradisce qualcuno per altre affinità e non solo per il sesso omonimo. Risultare sessualmente onnipotenti nei riguardi dell'omosessuale mi da molto l'idea di paura mascherata da una superiorità che ritiene l'omosessuale un essere inferiore in preda ai propri istinti. Dal punto di vista della controparte, suppongo non sia piacevole intraprendere interazioni col resto del mondo sapendo che gli altri ti additano come insanabile diverso, un intoccabile perché ha aderito ad una scelta differente dalla propria; siccome c'erano molte donne ho aggiunto che solitamente, chissà perché, ogni uomo che loro potevano conoscere non risultava subito un potenziale "porco schiavo del sesso", a dispetto dell'esempio poc'anzi citato. Nel caso del secondo stereotipo, controindicazioni di tale modo di pensare risultavano limiti di tipo comunicativo da ambo le parti, rabbia per l'incomprensione, sensi di colpa... quindi ancora limiti che impediscono tanto e ciò non persegue certo la bellezza... c) Questo stereotipo mi colpisce più da vicino. Più di una volta ho potuto sperimentare lo stupore di persone che, davanti ad una notizia del genere, rimanevano interdetti ed alcuni, con occhi inumiditi, non mi chiedevano come facessi per qualche paura o vergogna. Per entrare meglio in questione riporto un esempio accaduto ad un mio amico, Salvatore Vaccaro. Egli era andato ad una prima di 'Radiofreccia', film, come molti di voi saprete, con L. Ligabue. Quando questi era arrivato alla biglietteria erano rimasti pochi posti a disposizione. Una signora, per altro non chiamata in causa, per dirla alla De Andrè 'si prese la briga e di certo il gusto di dare a tutti il consiglio giusto': 'Non è necessario che lui entri, tanto il film non lo vede!'. Di contro la maschera, con sommo e sadico piacere di Salvatore, controbbattendo: 'Passa che mi sa tanto che c'è qualcuno che vede meno di te!'. Un episodio del genere ritorna piuttosto fastidioso e vi chiedo: oltre a vista, esistono altri sensi? Altra domanda: se si va al cinema, s'intende andare a vedere solo immagini, quindi un film muto? Tutto ciò potrebbe risultare ad alcuni di voi comunque inutile ma mi chiedo: se a me piace andare al cinema posso autoconvincermi a non andarci perché altri pensano che sia un illusione? Ancora una volta limiti... d) Quest'ultimo stereotipo mi tocca in prima persona. A volte mi sono chiesto, per il gusto di vagolare con la mente, se il piacere suscitato da un quadro descritto e commentato fosse una illusione e una non accettazione del mio stato di cecità. Vagolare che durava ben poco perché il piacere dell'immaginativo di qualcosa di passato diventava non nostalgia del passato stesso ma realtà del presente, concreta, viva, che fa parte di me. Estraniarmi da questa realtà sarebbe ammazzare una parte di me e, con tutta sincerità, non me la sento di essere assassino di me stesso. Inoltre una buona osservazione porta uno sforzo e un'osservazione maggiore del quadro da parte di chi osserva. Stimola la comunicazione di qualcosa di bello; stimola la comunicazione sia verso chi da che verso chi ricevere la spiegazione con domande, interrogativi, tentativo di sintesi, di ampliamento di veduta e d'immaginario comune. Anche qui vi chiedo: esiste solo il canale visivo per percepire? Vi chiedo: i sensi sono scollegati tra loro? Qualcuno potrebbe pensare che quest'amore per le forme sia legato ad una mia illusione di rivedere. Sinceramente non mi da tanto fastidio una critica del genere se fatta con spirito di curiosità quanto l'atteggiamento aprioristico che vuole sostituirsi alla mia persona e castrarmi di un godimento che, con tutto lo sforzo possibile, mi spiace, non ritorna illusorio "Dato che gli stereotipi e limiti sono difficoltà che, se superate, possono incentivare una propria apertura a una realtà più vera e dato che la verità, per quanto pesante, rimane sempre la cosa più bella, con questi due ultime stereotipi ho preso lo spunto per accedere al discorso dell'inseguimento della bellezza attraverso la sinestesia. Il nostro percorso nel mondo dei sensi partirà con l'analisi della bidimensione attraverso stampe di dipinti famosi. A coppie, l'uno bendato e l'altro no, esplorerete il dipinto, l'uno ricevendo la descrizione, l'altro fornendola. Vi suggerisco di non limitarvi a dare o ricevere spiegazioni ma a fare domande, anche se possono sembrarvi stupide. Per quanto concerne l'ordine da seguire cercate di dividere in compartimenti il quadro, dopo averlo osservato per un po'. Ad esempio: se c'è un panorama, prima lo sfondo, poi le piante che possono comparire in lontananza, le piante più vicine, animali e persone nelle varie posizioni. Infine collegate il tutto in un insieme. Per quanto riguarda, invece, la descrizione dei colori vi consiglio di ricorrere alla fantasia e all'associazione di idee. Vi invito a tenere conto del fatto che tutto ciò non è una prova di esame ma un semplice esperimento, dove qualunque fosse il risultato sarà ottimo. Nel caso voi già conosceste il quadro non vi fermate ma vivete soprattutto l'esperienza del dare e ricevere la spiegazione. Buon divertimento" la prova è durata circa 20 minuti più di qualcuno mi ha richiesto la tecnica descrittiva da seguire. Una signora in particolare pretese più volte che le venisse cambiata la tela perché affermava di conoscere bene quel quadro e le ritornava del tutto inutile fare una prova in questi termini, in quanto già tutto scontato. Ho tentato che l'elemento quadro già conosciuto, come sopra detto, passava in secondo piano rispetto all'esperienza in sé. La signora, tuttavia, ha talmente insistito che, per evitare di indispettirla nei confronti della prova, l'ho accontentata. Un'altra test, invece, si rifiutava inizialmente di fare la descrizione asserendo: "questo quadro non mi piace, è troppo lugubre. Posso avere un'altra stampa?". Le è stato risposto: "questo non vuol dire niente. Lo descriva ugualmente alla sua collega. Può darsi che a quest'ultima, invece, piaccia. Un'altra ancora si è sbendata quasi subito perché aveva riconosciuto il dipinto... a voi le conclusioni. Al termine del test ho raccolto un po' di impressioni. Una signora, nel corso della descrizione di un quadro da lei ben conosciuto ha notato sfumature nuove e particolari che non aveva mai colto precedentemente. Un signore, invece, ha trovato difficoltà nel descrivere i vari particolari della sua stampa e avrebbe voluto approfondire meglio il discorso con una documentazione sull'opera. A quest'ultimo ho ribadito ancora una volta: "Non si preoccupi, l'importante è tentare l'esperienza. Il risultato è secondario.". La coppia in cui compariva il signore sembrava attratta dal quadro, tanto che il tempo a disposizione non è stato sufficiente per l'approfondimento Siamo così passati alla seconda prova, consistente nel far bendare tutti e procedere così all'esplorazione tattile guidata. I partecipanti sono stati divisi in cinque gruppi (ciascuno di 5-6 persone). A ciascun gruppo sono stati somministrati alcuni dei plastici in rilievo. Riporto di seguito la mia esperienza e, successivamente, le interviste degli altri quattro somministratori.2 (Esperienza mia). I plastici che ho somministrato al mio gruppo, erano: colonna Traiana e pianta di S.Pietro. per la pianta sono partito dal fare esplorare prima liberamente per pochi secondi il plastico, poi ho proseguito con dei suggerimenti, sia verbali che tattili. Perciò ho affiancato la mia mano a quella del test. Ho fatto toccare prima il contorno, poi, cominciando dal basso, ossia dal basso, l'ho fatto procedere lentamente per i vari spazi e corridoi, evidenziando puntualmente i punti di congiungimento e divisione, fino ad arrivare alla parte opposta all'entrata. Infine ho lasciato ritoccare senza il mio ausilio la pianta, provando a chiedere qualora ci fosse stato qualche dubbio che puntualmente avremmo potuto sciogliere. La colonna Traiana mi è risultata più semplice da descrivere. Anche qui sono partito da una esplorazione libera per poi guidare passo passo i tests col mio ausilio sia tattile che verbale. Iniziando dal basso abbiamo analizzato i veri segmenti fino ad arrivare alla parte più alta. Alla fine abbiamo verificato la chiarezza della descrizione con una libera esplorazione, in assenza del mio ausilio. Di primo acchito la mano dei tests erano piuttosto rigide, particolare che si smorzava col procedere della prova. Man mano che questa scioltezza si accresceva l'interazione diventava più semplice. Una ragazza, poco dopo, non ha resistito e si è voluta sbendare, mentre altri continuavano a manifestare interesse per la prova. Avrebbero voluto infatti altre tavole per proseguire, non badando alla prova di verifica senza benda. (Massimo D'Elia) Domanda: "Man mano che procedevi all'analisi, hai notato dei miglioramenti nella tua descrizione?" Risposta: "Più che miglioramenti si impara a dare una gerarchia di valori per le cose che devi descrivere. Magari sarebbe più importante, ad esempio, una spiegazione di tipo volumetrico. E in un secondo momento passare alla descrizione tattile di elementi come colonne, statue e ornamenti vari. Questo perché erano opere antiche ed era molto presente la decorazione tattile. Nel senso che, rispetto ad oggi, compariva in maniera più rilevante la decorazione scultorea tattile rispetto a quella visiva." D. "Questo miglioramento, riesci ad individuare da cosa era causato?" R. "Un po' dall'esperienza e dai ragionamenti che facevo io per migliorare la descrizione e, in parte, da quello che davano di aver capito i soggetti dell'esperimento." D. "Quali sono state le impressioni e gli atteggiamenti dei vari test?" R: " è stato più o meno un atteggiamento di tutti. Le persone erano curiose nel fare l'esperienza e nel risultato, perché poi controllavano se era o meno come se lo aspettavano." D: "Che domande ti facevano, più o meno?" R. "nessuna in particolare, solo qualche spiegazione su qualche forma un po' particolare che usciva fuori dallo schema mentale che si erano fatti" D. "Qualcuno all'inizio ti ha detto che già conosceva quell'opera?" R. "Non dicevo il nome dell'opera all'inizio ma durante la descrizione" (Emanuela Musi) Domanda: "Quando hai guidato le persone nelle prove, che impressione hai avuto sia delle persone che di te stessa? Cosa hai potuto notare?" Risposta: "Ho notato due cose fondamentali: mi è capitata una ragazza, che aveva gli occhi bendati, ovviamente. Io prendevo le sue mani per guidarla sulla tavola e vedevo che questa era molto indecisa. Mi sembrava molto insicura, aveva le mani rigide. Faceva domande molto imprecise... quasi che avesse paura. Non era abituata a non vederci niente e toccare soltanto." D.: "Non si abbandonava molto?" R.: "No, per niente!" D.: "Quando si è tolta la benda l'atteggiamento è cambiato?" R.: "Completamente. Ha riacquistato tutta la sicurezza. Ha preso la tavola in mano e ha cominciato a scrutarsela." D.: "Che ti ha potuto dire tutto ciò? Nel senso, era sorpresa, aveva scoperto qualcosa di nuovo..." R.: "No, si è messa a fare la critica, a dire 'Questo me lo aspettavo diverso... questo non l'ho toccato proprio...' " D.: "Quante persone hai guidato?" R: "Sei!" D.: "Hai notato se c'era un atteggiamento migliore da seguire, se avresti dovuto interagire con queste persone in un modo piuttosto che in un altro?" R.: "Si, perché c'erano quelle persone che erano più espansive e alcuni che conoscevano addirittura le colonne e le strutture dell'opera. Questi erano tranquilli, toccavano, la conoscevano bene, mi dicevano quasi tutto loro. A questa, invece, ho dovuto spiega' tutto io e mi sono trovata in difficoltà. Perché non era facile. Un altro, invece, era molto più espansivo, toccava, addirittura metteva in dubbio tutto quello che dicevo io, chiedendomi sempre: 'Ah! Ma sei sicura che è così? No, perché a me invece non sembra...'. Fu il terzo a cui somministrai la prova. Io ormai avevo preso la mano, avendo già somministrato la prova a due persone prima. Dopo avergli fatto esplorare la tavola da solo, l'abbiamo esplorata insieme. Lui inizia a farmi molte domande, dubbioso. Poi mi dice: 'Ma allora tu ci vedi!'3. Io gli ho spiegato che me lo ero studiato prima. Lui insiste: 'Vabbe' ma tu ci vedi un pochino!'. Ed io: 'Senti, qui non stiamo a discutere di quanto io ci veda...'. Inoltre dava fastidio anche agli altri. Quando io spiegavo a loro, lui: 'Ah! Ma sei sicura che gliela stai a di' bene 'sta cosa?'. E si rivolgeva alla compagna: 'Ma sei sicura che stai a capi' bene?'. Metteva in dubbio tutto quello che dicevo io e che capiva l'altra." D.: "Dall'inizio verso la fine quali sono stati i tuoi cambiamenti? Ovvero, che metodo usavi?" R.: "Io facevo mettere le mani sulla tavola a due persone contemporaneamente. Anche se io avevo inizialmente detto che era meglio fare la prova prima uno e poi l'altro. Io aspettavo uno o due minuti che avessero esplorato bene e poi domandavano cosa avessero notato. Poi facevo ripetere la prova, questa volta guidandoli io. Infine, facevo loro togliere la benda ed effettuare il confronto, dicendo, anche a questo punto, di seguitare a toccare. Con i primi fu difficile, andando avanti con gli altri è stato più facile, c'era più interazione." D.: "Quando ti proposi di fare quest'esperienza, di guidare la gente al seminario, ti ricordi qual è stata la tua risposta?" R..: "Dissi di si, anche se avevo un po' paura, non l'avevo mai fatto, non sapevo cosa avrei dovuto spiegare a questi. Poi, dopo aver visto le tavole ho pensato 'Vabbe', se me lo studio un po'...'. Alla fine ero sicura che ce l'avrei fatta." (Valerio Sannetti) Domanda: "Quante persone hai guidato?" Risposta: "Cinque persone." D.: "Cosa hai fatto per guidare quelle persone?" R.: "Avevo delle cartine in rilievo, le persone erano bendate e io dovevo loro descrivere cosa rappresentassero le cartine." D.: "In che modo?" R.: "Facendogli toccare tutte le cartine e mostrandogli com'erano sviluppate. E comunque lasciando la libertà a chi osservava. Cioè: uno metteva le mani sulla tavola e io gli davo delle dritte sul modo di esplorare, per fargli capire come si sviluppava l'opera. L'utente era comunque lasciato libero di osservare tutta la cartina da solo." D.: "Prima di fare da timoniere, che preparazione hai fatto?" R.: "Ci siamo preoccupati di vedere quale fosse il modo migliore per far capire ai soggetti l'illustrazione, nella maniera più chiara, più semplice, più lineare possibile." D.: "Cosa hai fatto, per arrivare a tutto ciò, come esperienza pratica?" R.: "Mi sono bendato anch'io e ho studiato le tavole, abbiamo approfondito su libri d'arte... con Massimo D'Elia, in particolare, che ci spiegava." D.: "Durante il seminario, quando hai esposto le cartine alle persone, hai notato dei cambiamenti nel corso della spiegazione, sia da parte tua che da parte dei partecipanti alla prova?" R.: "Da parte mia non più di tanto, poiché mi ero studiato come fare questa prova. La cosa che mi ha colpito di più è stata la gente, che comunque era intimorita da questo fatto di analizzare tattilmente una cosa che, solitamente, guarda. Inizialmente erano un po' spaesati, come se gli togli la bussola. Poi, però, quando riuscivano a capire la costruzione si scioglievano." (Barbara Cozzolino) Domanda: "Puoi spiegare che tipo di preparazione hai fatto?" Risposta: "Mi sono riunita, con te, Massimo, Valerio ed Emanuela, abbiamo studiato le tavole e consultato testi d'arte. Mi sono bendata anch'io e mi sono lasciata spiegare da Massimo." D.: "Che tavole hai somministrato?" R.. "La pianta e la facciata esterna di S.Croce, di Firenze. D.: "Con quante persone hai effettuato la prova?" R.: "Inizialmente con un gruppo di quattro. Poi, singolarmente, ad altre due ragazze." D.: "Che impressione hai avuto?" R.: "I primi quattro erano molto intimoriti, non vedevano l'ora di togliersi la benda, sembravano impacciati, insicuri. In particolare l'ultima persona che ha effettuato la prova, ovvero quella che ha tenuto la benda più a lungo. Mi è sembrata molto sollevata quando si è potuta sbendare e guardare le tavole. Tutti e quattro affermarono di non aver capito molto. Con le altre due ragazze è stato un po' più facile, ma hanno comunque capito poco della struttura. Non credo abbiano appreso molto dall'esperienza." D.: "Da cosa è potuto dipendere tutto ciò, secondo te?" R.: "Forse perché anch'io mi trovavo nella loro stessa condizione: nel senso che nemmeno io sono abituata ad esplorare qualcosa tattilmente, a differenza di te, Valerio ed Emanuela. Inoltre non sono esperta di strutture architettoniche, come Massimo." Alla fine di tutte queste prove ho richiesto alcune impressioni. Alcuni hanno detto che ci sarebbe voluto, specie per i dipinti, una maggiore ricerca e che la prova con le opere in rilievo li aveva maggiormente soddisfatti, almeno a livello di forma, se non di piacere (hanno giudicato, infatti, più interessante la prova con i dipinti). Altri, invece, hanno ripetuti il déjà vu di alcune opere. Per finire, un ragazzo ha esposto una propria difficoltà: "Quando sto all'esterno e mi trovo vicino ad un cieco mi sento male perché so che io vedo e lui non sa che io sono lì". Il collega laureando in psicologia e cieco dalla nascita, citato inizialmente ha risposto repentinamenteche, anche se non vediamo le persone intorno sappiano lo stesso che le persone non ci possono vedere. Ha riportato inoltre il caso di una donna cieca dal carattere pungente in queste situazioni. Quello che ben ricordo è comunque che ha concluso più o meno così: "In ogni caso stai tranquillo, noi non ce la prendiamo." Quest'ultima frase in particolare non nego che mi abbia irritato,, in quanto non era mia intenzione certamente dare delle direttive comportamentali alle paure della gente e ho controbbattuto: "A mio avviso non si può dare una risposta che parta da quel noi, poiché ognuno è un individuo diverso dall'altro, a prescindere dallo stato fisico, per tante ragioni che è inutile elencare. Quindi il mio consiglio, da amico e non da cieco, è che, se hai questa paura o ti presenti o comunque non ti aspettare niente, perché le reazioni possono essere imprevedibili. In quanto, appunto, l'altro è una persona. Noi due, infatti, pur essendo entrambi ciechi, abbiamo comunque un vissuto, una storia e altro che ci rende differenti l'uno dall'altro." Infine ho specificato, sull'onda di questa provocazione, di non pensare che l'arte, in particolare quella pittorica, possa interessare agli altri quanto a me: un mio amico cieco dalla nascita ha confessato, ridendo: "Non me ne po' frega' de meno del quadro. Però (facendo riferimento ad un quadro di Dalì), mi ha stimolato molto l'idea che c'era dietro." 2 Massimo D'Elia, Barbara Cozzolino, Valerio Sannetti e Emanuela Musi. 3 Emanuela, così come Valerio, il tester seguente, è ipovedente. 2 31 4. I NON VEDENTI di Antonio Selvaggi Si invita il lettore ad appuntare difetti, critiche, dubbi e impressioni di questo articolo leggendo per ultima questa prefazione al seminario onde affrontarlo senza essere influenzati dall'esperienza e dalle riflessioni di chi ha organizzato l'incontro. Ho scelto questo punto come introduttivo e non conclusivo per ragioni di forma; anche perch‰ le conclusioni (spero) le tirer€ il lettore. Vi invito a mandare un vostro elaborato ai seguenti indirizzi: Via Odescalchi, 38 - 00147, Roma. Tel.: 0339/5301107 - 0651301825 - Viale Giovanni XXIII, 30 - 75013, Ferrandina (MT) Tel.: 0835555695 S.I.D. C/O Facolt€ di Psicologia - Via dei Marsi, 78 - 00185, Roma. Email: Sirione@mclink.it Se ne avrete piacere cercherø di corrispondervi. Mi permetter€ tutto ciø di avviare un processo dialettico che sicuramente contribuir€ ad altre riflessioni e miglioramenti e, soprattutto, a dar vita ad un semplice articolo 4.1. Prefazione Un paio di mesi prima della realizzazione del seminario mi trovavo a casa, in Basilicata. Mi arrivø una telefonata da Roma, dove l'odierna dottoressa Barbara Cozzolino, nonch‰ segretarie del SID e mia amica, mi chiedeva di intervenire al corso di formazione per trattare il tema della cecit€. In un primo momento, pur dando il mio assenso, ho avuto qualche dubbio su ciø che avrei potuto fare. Tuttavia i ricordi di trascorsi e vissuti legati a visite, incontri, studi nei vari ambiti dell'arte mi si sono riaffacciati visitando una mostra a Ferrandina, mio paese di origine. Uno dei miei timori ˆ stato di non dare al mio intervento un taglio eccessivamente pesante, noioso o tecnicistico; anche perch‰ non mi sentivo competente in materia. Al contrario il mio voleva essere un approccio creativo all'argomento e soprattutto che si trattasse l'handicap dal punto di vista esistenziale. Partivo quindi dal presupposto che la disabilit€ si trasformava in handicap nel momento in cui un limite, di natura fisica o psichica, non trovava alternative; anzi, invece di avviare ad un processo di crescita, una mentalit€ del genere portava ad una cecit€, per l'appunto, mentale, sinonimo di chiusura, stereotipi, luoghi comuni di incomprensione Partendo da questo presupposto la mia intenzione doveva necessariamente dar spazio a chi partecipava di riflettere su determinati atteggiamenti propri; senza necessariamente sentirsi incapaci di comprendere una realt€ solo perch‰ non vissuta negli stessi termini. Ossia, un vedente puø sentirsi annullato, perciø anche impaurito, dalla realt€ del cieco solo perch‰ c'ˆ una differenza di tipo fisico. Un discorso del genere, a mio avviso, ˆ da sentirlo da ambo le parti: sia da parte del cieco nei confronti del vedente, sia il contrario. Per tornare al discorso esistenziale, quanti di noi si sono mai sentiti timidi, brutti, stupidi, ciechi, di colore "E non negri"... fino a compilare una lista che puø essere interminabile? Quanti di noi hanno reagito a tutto ciø con una chiusura? E quanti di noi, invece, cercando di vedere al di l€ del proprio palmo di naso hanno scoperto nuove realt€ sia esterne che interne...? La risposta ˆ talmente semplice che, per ovvia fiducia, la lascio al lettore. Ma ritorniamo alla nascita del seminario! Da buon egocentrico volevo in ogni modo creare qualcosa di molto barocco che stupisse; tanto da divertirmi io non senza i partecipanti. Con gusto dei paradossi, perciø, mi appellai all'idea della cecit€ trattata attraverso forme, suoni, ma soprattutto, colori, con tanto di opere d'arte in rilievo nonch‰ stampe di quadri famosi. Avevo previsto anche l'impatto con il sonoro ma per alcuni contrattempi sono stato costretto a farlo passare in secondo piano, se non ad eliminarlo. Prima di passare alla descrizione del seminario, che reputo, purtroppo, "riduttiva" perch‰ non vissuto, preferisco continuare a raccontarvi di come si ˆ formato, in quanto per me e chi per altri mi ha aiutato ˆ stato un "seminario prima del seminario stesso. L'idea perø, prima che arrivasse alla completa realizzazione, ha richiesto continue modifiche e rifacimenti, in funzione di suggerimenti e circostanze. Tra i punti che ho ritenuto di rispettare c'erano in contemporanea sia il titolo che le tappe esperenziali da percorrere; ossia uno specchietto teorico e organizzativo da cui partire. Nello spiegare a Barbara le mie intenzioni la sua sintesi ˆ stata: "Lo scopo di questo incontro era di trattare solo indirettamente la questione della cecit€, patendo, invece, da un argomento che, stereotipicamente, poco ha a che vedere con questo tipo di disabilit€: l'arte e l'estetica. In una cultura in cui si ˆ sempre dato molto peso alla forma estetica, si ˆ, infatti, portati a pensare che la bellezza, ad esempio, di un'opera d'arte, sia percepibile esclusivamente mediante il canale visivo." Il titolo, perciø, non poteva essere altro che stereotipi e limiti, in opposizione a bellezza e sensi. L'ordine con cui procedere, dal punto di vista della forma, ˆ stato il dover passare dalla bidimensione alla tridimensione. Quindi attraverso una descrizione in primo luogo con le stampe e, successivamente, sempre con l'ascolto della descrizione ma, questa volta, con il supporto di tipo tattile, con gli spaccati in rilievo. Il cammino poi sarebbe proseguito, come terza tappa, con l'ascolto di musica di tipo descrittivo, con testi ricchi di simboli e immagini: infine, come ultima tappa, con un film in audio cassetta, con commento esplicativo - sincronizzato, il quale interveniva nei momenti in cui il film non permetteva di capire solo con l'audio determinate scene (1). Sia il film che la canzone, perø, cadono nel sonoro ed ambedue evocano immagini; allora vi chiederete: perch‰ presento queste due performance come tappe differenziate se hanno la stessa funzione di 1. Per esempio: se sento il suono "toc" potrebbe essere il bussare ad una porta, lo sbattere accidentale ad un comodino, lo sbattere di una porta grazie al vento, un oggetto che cade, o altro ancora. evocare immagini? ® appunto quello che mi sono chiesto anch'io nel momento in cui ho trovato questi due mezzi per parlare del sonoro e la risposta che in un primo momento mi ˆ venuta ˆ che non vi ˆ assolutamente nessuna differenza se non nel fatto che in un caso c'era musica ed armonie e nell'altro in particolare parole e dialoghi. C'ˆ tuttavia una differenza di tipo sostanziale che pian piano si ˆ palesata nel momento che lo sforzo implementativo dal punto di vista sinestetico era diametralmente opposto. La musica, quindi, costituiva un esempio di sforzo sinestetico che parte dall'uditivo per approdare agli altri sensi, come, ad esempio, il visivo; mentre il film in audiocassetta commentata rappresentava un altro sforzo sinestetico che parte dal visivo e si traduce in particolare in uditivo. Come ho gi€ detto perø queste ultime due tappe sono state messe da parte ma ho voluto ugualmente descriverle per completare il quadro. Ho tralasciato il palato e l'olfatto per ragioni logistiche di tempo, cose che rimando a possibili altri seminari. Per quanto concerne le prime due tappe non mi bastava di certo la mia esperienza e, di conseguenza, ho cominciato ad intervistare altri ciechi di vario tipo. Intendo, per vario tipo, ciechi che erano disabili dalla nascita, molti dei quali mi hanno risposto, riguardo alla bidimensione, con pieno disinteresse dal punto di vista figurativo ma attratti dall'idea o lo spunto che l'estetica esprimeva. Differente ˆ stata la reazione di alcuni ipovedenti con i quali ho potuto tranquillamente parlare di arte con relativo riscontro di interesse per le forme tridimensionale e bidimensionale. Uno di loro aveva anzi approfondito a livello scolastico facendo il liceo artistico; particolare che mi ha piuttosto motivato ad andare avanti in questa ricerca, in quanto era un'ulteriore prova contro quei pensieri semplicistici che avrebbero urlato: "Non ˆ possibile! Fai altro!". Tutte queste persone pi· o meno cieche hanno costituito un bagaglio di tipo soprattutto esperenziale. Per quanto concerne il materiale teorico e pratico. mi sono rivolto infatti a chi viveva dall'altra parte della trincea l'esperienza sinestetica, nell'ambito dell'insegnamento e dello studio di queste tematiche. Ho contattato quindi il prof. Miglietta e il prof. Bizzi Sapevo che ambedue avevano realizzato gli affreschi della Cappella Sistina attraverso delle cartine in rilievo; cosa che per quanto a molti di voi possa sembrare discutibile o illusoria ˆ a mio avviso un tentativo pioneristico che potrebbe aprire sempre e comunque e possibilit€. Come il prof. Bizzi mi raccontava molte sono state le critiche mosse sulla validit€ di questo lavoro da sue colleghe e insegnati corsiste. Tuttavia per meglio entrare nella bellezza di un dipinto, che nel caso della Cappella Sistina ˆ di statura sia artistica che dimensionale notevole, non ˆ certo soddisfacente un semplice colpo d'occhio. Un bagaglio conoscitivo oltre la fondamentale contemplazione dell'opera di certo amplia la possibilit€ di viversi il dipinto. Viaggiando su un ragionamento del genere si puø intuire quanto pur difficile ma non impossibile sia approfondire per un cieco tale conoscenza delle tavole progettate da questa equipe. Dopo, infatti, diverse provocazioni che il prof. Bizzi ha accumulato, un'insegnante cieca, incuriosita, ha raccolto questa sfida: con molta pazienza le sono state descritte, con oculatezza, le varie tavole mentre quest'ultima le leggeva tattilmente. Con molta pazienza hanno seguito tutto un percorso logico per accedere alla visione completa di ogni tavola. Con molta pazienza ogni tavola ˆ stata, come per un puzzle, collegata a tutte le altre per avere un'idea globale di tutto l'affresco. Con molta pazienza si ˆ verificato quanto a questa donna fosse rimasto della spiegazione. I risultati ottenuti sono stati: a) la donna sapeva ormai muoversi anch'ella liberamente nella descrizione del dipinto. Particolare che lasciava trasparire una certa comprensione dell'opera e dell'idea sviluppata dall'artista; b) la fatica per una prova cosŒ lunga era praticamente annullata dall'entusiasmo della test per avere finalmente approfondito la conoscenza di un'opera di tale valore artistico: c) tale disprezzo della stanchezza e la vitalit€ - entusiasmo hanno smosso sino a dissolvere molte di quelle critiche, pi· dei tanti discorsi che Bizzi ha potuto fare. L'arte ˆ perciø un diritto morale a cui tutti devono poter accedere. Ricordo di essere stato messo in guardia da certi sforzi descrittivi sinestetici che accomunano sensazioni tattili: il fuoco = calore = rosso; la neve = freddo = bianco. Ma se un cieco dalla nascita tocca un'anguria, semmai di frigorifero, di che colore la percepir€ secondo tale logica? Naturalmente non credo si voglia dire con tutto ciø che ricorrere a tali similitudini sia necessariamente sbagliata; ma sicuramente il pensare di risolvere la barriera descrittiva del colore con tale prospettiva puø essere riduttiva e limitante. In soldoni questo ˆ stato il mio incontro con B, oltre ad avere approfondito in seguito la conoscenza dei plastici in rilievo realizzati dalla fondazione pro ciechi. Altro personaggio fondamentale di questa vicenda ˆ stato, per l'appunto, il prof. Miglietta, da tempo segnalatomi da due miei amici, Tony Brunetti e Salvatore Vaccaro. Ambedue avevano frequentato il Liceo Scientifico Socrate con Miglietta come professore di educazione artistica. Gentilmente, dopo la presentazione, con molta tranquillit€ mi ha illustrato alcune delle sue perplessit€; perplessit€ sorte nel momento in cui, al di l€ del cieco o non cieco, si verifica la difficolt€ di trasmettere le proprie conoscenze per vivificare anche l'interesse e lo spirito critico nei riguardi di un'opera artistica: quanto perciø ˆ importante un tipo di descrizione e la potenza della parola pi· che una semplice spiegazione di tipo accademico. Questa problematica, mi si diceva, s'era accresciuta nel momento in cui erano giunti i "casi particolari". Infatti trapelava, mi sembra, una profonda sensibilit€ e un profondo amore per l'arte. Questo, credo, l'ha spinto ad un rispetto per la trasmissione della bellezza artistica e sarebbe risultato un affronto alla propria "intelligentia" alienare da tale difficolt€ un cieco perch‰ non vede: ricorrere all'escamotage di far dire semplicemente "il pappone a memoria" ˆ un errore, a mio avviso, che molti insegnanti fanno e chi pi·, chi meno nei vari ambiti, non solo scolastici, ha sperimentato. Tony ˆ stato quindi un vero e proprio campo di battaglia nell'ambito sperimentale, dove, nell'interazione professore - alunno, ha giocato da cavia per i vari suggerimenti didattici. Suggerimenti ritornati utili, poi, anche al resto della classe, come il vivere l'esperienza scultorea attraverso il toccare dei modelli in miniatura, oppure assumere pose riproducenti tali forme, oltre ad una certa descrizione oculata. Con la pittura, che doveva necessariamente seguire un filo logico in modo da evitare sia un calo dell'attenzione che un disperdersi di informazioni, tale descrizione si approfondiva. La strategia, dunque, adottata si puø illustrare con un esempio: consideriamo un quadro ambientato in una casa con delle persone. Si parte, dopo l'osservazione del quadro, dal dividere in compartimenti accomunati da particolari simili. Quindi lo sfondo, in questo caso la forma geometrica dei muri, poi la posizione dell'arredamento, la posizione delle persone, per poi ricollegare il tutto e dare cosŒ un'idea di insieme. E i colori invece? Riporteremo la descrizione dello stesso Tony: "Occorre specificare innanzitutto che egli [il prof. Miglietta] riproduceva per me, con una fotocopiatrice apposita, le stampe dei quadri d'autore in rilievo. Aveva trovato anche un sistema per fare una riproduzione approssimativa di quella che poteva essere la visione del colore. Quindi, un punto che era visibilmente pi· scuro veniva marcato con punti e linee pi· ravvicinati; per contro un punto che era visibilmente pi· chiaro era marcato con punti e linee pi· distanziati. Ovviamente questa riproduzione mi veniva spiegata passo per passo: mentr'egli spiegava alla classe io, avevo la riproduzione sottomano, per cui, mediante il suo aiuto, potevo procedere all'analisi del quadro. Nel definire perø il colore specifico (rosso, giallo, verde...) si limitava a nominarlo semplicemente o, al massimo, a descrivermi la sfumatura. Senza inventarsi comunque cose strane." (domanda ): "ti facevi un'immagine del quadro?" (Tony): "Beh! Un minimo si!" Dopo il contributo ricevuto dai vari incontri poteva ritornare semplificato lo scheletro del seminario e potevo sicuramente dare qualche consiglio ragionato sulla tecnica descrittiva, siamo passati allora all'acquisto di stampe di quadri famosi e ci siamo procurati i plastici di sculture, spaccati, piante di opere architettoniche in rilievo. Oltre a ricercare informazioni sui libri d'arte, con relative fotocopie inerenti i quadri scelti, ognuno di noi ha sperimentato ambedue le posizioni: sia di chi da la descrizione dello spaccato che di chi, bendato, la riceve. In questo caso ˆ risultato "manna dal cielo" e non trovo miglior sinonimo, Massimo D'Elia, un mio amico laureando in architettura, il quale per il suo spirito pratico e conoscenza della materia mi ha fornito un valido supporto nell'esecuzione descrittiva e terminologica, nonch‰ profonda fiducia e adesione a questa idea. Insieme a Barbara Cozzolino, Valerio Sannetti e Emanuela Musi, Massimo ha costituito un ausilio fondamentale per la spiegazione guidata degli spaccati al seminario, pur essendo la prima volta. Un ringraziamento particolare va a Mirko e alla famiglia Patera per la fiducia nel lavoro e per avere contribuito economicamente finanziando l'acquisto del materiale. Spero vivamente con tale descrizione di aver dato un quadro ampliato al seminario. Chiedo scusa per i vari errori che avrø potuto commettere. Giuro che cercherø di migliorare. Gi€ da ora, a coloro che diranno: "Non ˆ possibile! So' tutte cazzate! Come se fa se nun ce vede 'na mazza?", rispondo che ciø ˆ verissimo e mi congratulo per il genio scopritore dell'acqua calda. Tuttavia ricordo che, non a caso, il verbo vedere italiano, in latino, in forma passiva ha significato non di "essere visto" ma di "avere l'impressione di". E io ci riesco! E non solo io! E con tutta sincerit€ vedo in voi dei limiti. 4.2. Stereotipi, limiti, bellezza e sensi Il seminario doveva avere la durata di due ore. Quella sera abbiamo avuto la benedizione sia dal cielo che dalla terra, con tanto di diluvio universale e traffico. Situazione molto "fantozziana" che ci ha portato a ritardare di circa 20 -30 minuti. Per ovviare al ritardo ho telefonato a Debora Bartorelli, la responsabile dell'ufficio segreteria al S.I.D., onde avvisare il pubblico del nostro contrattempo. Ella mi ha avvertito della presenza di un mio collega di psicologia, per giunta cieco dalla nascita. Dal momento che avevamo gi€ condiviso un altro seminario lo scorso anno ho pensato che la miglior cosa da fare fosse spiegargli il mio specchietto introduttivo e chiedergli di intrattenere il pubblico fino al mio arrivo. Purtroppo il ritardo ha fatto in qualche modo saltare gli schemi e un po' di quella calma che si richiedeva. Appena aggiunto, cosŒ, ho cercato di accelerare i tempi e ho attaccato con la presentazione al seminario: "Salve a tutti, il mio nome ˆ Antonio Selvaggi, sono uno studenti di psicologia e sono cieco non dalla nascita ma ho perso la vista nel '90 in conseguenza a una ipertensione endocranica e conseguente compressione del nervo ottico. L'invito del mio seminario non ˆ quello di farvi scoprire, bensŒ riscoprire quello che voi normalmente osservate. Partirø dunque dalla spiegazione del titolo stereotipi e limiti in opposizione a bellezza e sensi. Uno dei miei tentativi ˆ sfatare il mito del diverso che si ricopre di stranezze paranormali solo perch‰ la legge dell'adattamento riesce ad affinare maggiormente gli altri sensi. Un ingegnerie, d'altronde, per arrivare ad essere quello che ˆ, avr€ fatto studi ed esperienze per laurearsi e lo si puø ammirare per il risultato di fatiche ma non credo si ricopra di quell'aura mistificatoria. Per quanto riguarda gli stereotipi mi appellerø a quattro esempi esplicativi che da una visione pi· distante arrivano ad una realt€ stereotipica che mi colpisce in prima persona: a) donna al volante, pericolo costante; b) '® omosessuale?... Ah! Io non ho niente contro di loro, basta che non ci provi con me; c) un cieco va al cinema. Che ci va a fare?; c) il cieco va ad una mostra di quadri. '® impossibile!' a) questo pensiero non mi tocca direttamente per la diversit€ di sesso ma come persona si. Mi chiedo: ammettiamo per assurdo che ciø sia vero. Noto che se un maschio commettesse un infrazione potrebbe risultare imbecille, furbo, cattivo guidatore, inabile alla guida o perfino intraprendente. Gamma, questa, di ampie possibilit€, addirittura meritorie. Se una donna fa la stessa cosa, potrebbe anche avere un attacco cardiaco ma, secondo questo stereotipo, la donna ˆ cattiva guidatrice, in quanto semplicemente "donna". ® chiaro che un atteggiamento mentale del genere da parte di chi giudica non va a considerare la persona o gli eventi (l'attacco cardiaco) "chiudendosi" in un'idea che insegna il falso. Chi subisce, invece, tale stereotipo, deve combattere, oltre che con la propria possibile difficolt€ soggettiva, anche con un fantasma chiamato 'limite'. Le controindicazioni sono senza dubbio incomunicabilit€, sensi di colpa e un ansia eccessiva per 'l'errore' della guida. b) Il secondo stereotipo mi avvicina alla dimensione di 'essere maschio'. Ammettiamo per assurdo che un omosessuale appena ti vede ti corteggia: si puø tranquillamente rispondere di non essere interessati e non vedere l'altro come un malato di un morbo incurabile che puø minare la propria stabilit€. Credo che sia totalmente sbagliato non considerare 'l'altro' prima di tutto come una persona dotata di intelligenza e di autocontrollo, capace di scegliere se pi· o meno gradisce qualcuno per altre affinit€ e non solo per il sesso omonimo. Risultare sessualmente onnipotenti nei riguardi dell'omosessuale mi da molto l'idea di paura mascherata da una superiorit€ che ritiene l'omosessuale un essere inferiore in preda ai propri istinti. Dal punto di vista della controparte, suppongo non sia piacevole intraprendere interazioni col resto del mondo sapendo che gli altri ti additano come insanabile diverso, un intoccabile perch‰ ha aderito ad una scelta differente dalla propria; siccome c'erano molte donne ho aggiunto che solitamente, chiss€ perch‰, ogni uomo che loro potevano conoscere non risultava subito un potenziale "porco schiavo del sesso", a dispetto dell'esempio poc'anzi citato. Nel caso del secondo stereotipo, controindicazioni di tale modo di pensare risultavano limiti di tipo comunicativo da ambo le parti, rabbia per l'incomprensione, sensi di colpa... quindi ancora limiti che impediscono tanto e ciø non persegue certo la bellezza... c) Questo stereotipo mi colpisce pi· da vicino. Pi· di una volta ho potuto sperimentare lo stupore di persone che, davanti ad una notizia del genere, rimanevano interdetti ed alcuni, con occhi inumiditi, non mi chiedevano come facessi per qualche paura o vergogna. Per entrare meglio in questione riporto un esempio accaduto ad un mio amico, Salvatore Vaccaro. Egli era andato ad una prima di 'Radiofreccia', film, come molti di voi saprete, con L. Ligabue. Quando questi era arrivato alla biglietteria erano rimasti pochi posti a disposizione. Una signora, per altro non chiamata in causa, per dirla alla De Andrˆ 'si prese la briga e di certo il gusto di dare a tutti il consiglio giusto': 'Non ˆ necessario che lui entri, tanto il film non lo vede!'. Di contro la maschera, con sommo e sadico piacere di Salvatore, controbbattendo: 'Passa che mi sa tanto che c'ˆ qualcuno che vede meno di te!'. Un episodio del genere ritorna piuttosto fastidioso e vi chiedo: oltre a vista, esistono altri sensi? Altra domanda: se si va al cinema, s'intende andare a vedere solo immagini, quindi un film muto? Tutto ciø potrebbe risultare ad alcuni di voi comunque inutile ma mi chiedo: se a me piace andare al cinema posso autoconvincermi a non andarci perch‰ altri pensano che sia un illusione? Ancora una volta limiti... d) Quest'ultimo stereotipo mi tocca in prima persona. A volte mi sono chiesto, per il gusto di vagolare con la mente, se il piacere suscitato da un quadro descritto e commentato fosse una illusione e una non accettazione del mio stato di cecit€. Vagolare che durava ben poco perch‰ il piacere dell'immaginativo di qualcosa di passato diventava non nostalgia del passato stesso ma realt€ del presente, concreta, viva, che fa parte di me. Estraniarmi da questa realt€ sarebbe ammazzare una parte di me e, con tutta sincerit€, non me la sento di essere assassino di me stesso. Inoltre una buona osservazione porta uno sforzo e un'osservazione maggiore del quadro da parte di chi osserva. Stimola la comunicazione di qualcosa di bello; stimola la comunicazione sia verso chi da che verso chi ricevere la spiegazione con domande, interrogativi, tentativo di sintesi, di ampliamento di veduta e d'immaginario comune. Anche qui vi chiedo: esiste solo il canale visivo per percepire? Vi chiedo: i sensi sono scollegati tra loro? Qualcuno potrebbe pensare che quest'amore per le forme sia legato ad una mia illusione di rivedere. Sinceramente non mi da tanto fastidio una critica del genere se fatta con spirito di curiosit€ quanto l'atteggiamento aprioristico che vuole sostituirsi alla mia persona e castrarmi di un godimento che, con tutto lo sforzo possibile, mi spiace, non ritorna illusorio "Dato che gli stereotipi e limiti sono difficolt€ che, se superate, possono incentivare una propria apertura a una realt€ pi· vera e dato che la verit€, per quanto pesante, rimane sempre la cosa pi· bella, con questi due ultime stereotipi ho preso lo spunto per accedere al discorso dell'inseguimento della bellezza attraverso la sinestesia. Il nostro percorso nel mondo dei sensi partir€ con l'analisi della bidimensione attraverso stampe di dipinti famosi. A coppie, l'uno bendato e l'altro no, esplorerete il dipinto, l'uno ricevendo la descrizione, l'altro fornendola. Vi suggerisco di non limitarvi a dare o ricevere spiegazioni ma a fare domande, anche se possono sembrarvi stupide. Per quanto concerne l'ordine da seguire cercate di dividere in compartimenti il quadro, dopo averlo osservato per un po'. Ad esempio: se c'ˆ un panorama, prima lo sfondo, poi le piante che possono comparire in lontananza, le piante pi· vicine, animali e persone nelle varie posizioni. Infine collegate il tutto in un insieme. Per quanto riguarda, invece, la descrizione dei colori vi consiglio di ricorrere alla fantasia e all'associazione di idee. Vi invito a tenere conto del fatto che tutto ciø non ˆ una prova di esame ma un semplice esperimento, dove qualunque fosse il risultato sar€ ottimo. Nel caso voi gi€ conosceste il quadro non vi fermate ma vivete soprattutto l'esperienza del dare e ricevere la spiegazione. Buon divertimento" la prova ˆ durata circa 20 minuti pi· di qualcuno mi ha richiesto la tecnica descrittiva da seguire. Una signora in particolare pretese pi· volte che le venisse cambiata la tela perch‰ affermava di conoscere bene quel quadro e le ritornava del tutto inutile fare una prova in questi termini, in quanto gi€ tutto scontato. Ho tentato che l'elemento quadro gi€ conosciuto, come sopra detto, passava in secondo piano rispetto all'esperienza in s‰. La signora, tuttavia, ha talmente insistito che, per evitare di indispettirla nei confronti della prova, l'ho accontentata. Un'altra test, invece, si rifiutava inizialmente di fare la descrizione asserendo: "questo quadro non mi piace, ˆ troppo lugubre. Posso avere un'altra stampa?". Le ˆ stato risposto: "questo non vuol dire niente. Lo descriva ugualmente alla sua collega. Puø darsi che a quest'ultima, invece, piaccia. Un'altra ancora si ˆ sbendata quasi subito perch‰ aveva riconosciuto il dipinto... a voi le conclusioni. Al termine del test ho raccolto un po' di impressioni. Una signora, nel corso della descrizione di un quadro da lei ben conosciuto ha notato sfumature nuove e particolari che non aveva mai colto precedentemente. Un signore, invece, ha trovato difficolt€ nel descrivere i vari particolari della sua stampa e avrebbe voluto approfondire meglio il discorso con una documentazione sull'opera. A quest'ultimo ho ribadito ancora una volta: "Non si preoccupi, l'importante ˆ tentare l'esperienza. Il risultato ˆ secondario.". La coppia in cui compariva il signore sembrava attratta dal quadro, tanto che il tempo a disposizione non ˆ stato sufficiente per l'approfondimento Siamo cosŒ passati alla seconda prova, consistente nel far bendare tutti e procedere cosŒ all'esplorazione tattile guidata. I partecipanti sono stati divisi in cinque gruppi (ciascuno di 5-6 persone). A ciascun gruppo sono stati somministrati alcuni dei plastici in rilievo. Riporto di seguito la mia esperienza e, successivamente, le interviste degli altri quattro somministratori.2 (Esperienza mia). I plastici che ho somministrato al mio gruppo, erano: colonna Traiana e pianta di S.Pietro. per la pianta sono partito dal fare esplorare prima liberamente per pochi secondi il plastico, poi ho proseguito con dei suggerimenti, sia verbali che tattili. Perciø ho affiancato la mia mano a quella del test. Ho fatto toccare prima il contorno, poi, cominciando dal basso, ossia dal basso, l'ho fatto procedere lentamente per i vari spazi e corridoi, evidenziando puntualmente i punti di congiungimento e divisione, fino ad arrivare alla parte opposta all'entrata. Infine ho lasciato ritoccare senza il mio ausilio la pianta, provando a chiedere qualora ci fosse stato qualche dubbio che puntualmente avremmo potuto sciogliere. La colonna Traiana mi ˆ risultata pi· semplice da descrivere. Anche qui sono partito da una esplorazione libera per poi guidare passo passo i tests col mio ausilio sia tattile che verbale. Iniziando dal basso abbiamo analizzato i veri segmenti fino ad arrivare alla parte pi· alta. Alla fine abbiamo verificato la chiarezza della descrizione con una libera esplorazione, in assenza del mio ausilio. Di primo acchito la mano dei tests erano piuttosto rigide, particolare che si smorzava col procedere della prova. Man mano che questa scioltezza si accresceva l'interazione diventava pi· semplice. Una ragazza, poco dopo, non ha resistito e si ˆ voluta sbendare, mentre altri continuavano a manifestare interesse per la prova. Avrebbero voluto infatti altre tavole per proseguire, non badando alla prova di verifica senza benda. (Massimo D'Elia) Domanda: "Man mano che procedevi all'analisi, hai notato dei miglioramenti nella tua descrizione?" Risposta: "Pi· che miglioramenti si impara a dare una gerarchia di valori per le cose che devi descrivere. Magari sarebbe pi· importante, ad esempio, una spiegazione di tipo volumetrico. E in un secondo momento passare alla descrizione tattile di elementi come colonne, statue e ornamenti vari. Questo perch‰ erano opere antiche ed era molto presente la decorazione tattile. Nel senso che, rispetto ad oggi, compariva in maniera pi· rilevante la decorazione scultorea tattile rispetto a quella visiva." D. "Questo miglioramento, riesci ad individuare da cosa era causato?" R. "Un po' dall'esperienza e dai ragionamenti che facevo io per migliorare la descrizione e, in parte, da quello che davano di aver capito i soggetti dell'esperimento." D. "Quali sono state le impressioni e gli atteggiamenti dei vari test?" R: " ˆ stato pi· o meno un atteggiamento di tutti. Le persone erano curiose nel fare l'esperienza e nel risultato, perch‰ poi controllavano se era o meno come se lo aspettavano." D: "Che domande ti facevano, pi· o meno?" R. "nessuna in particolare, solo qualche spiegazione su qualche forma un po' particolare che usciva fuori dallo schema mentale che si erano fatti" D. "Qualcuno all'inizio ti ha detto che gi€ conosceva quell'opera?" R. "Non dicevo il nome dell'opera all'inizio ma durante la descrizione" (Emanuela Musi) Domanda: "Quando hai guidato le persone nelle prove, che impressione hai avuto sia delle persone che di te stessa? Cosa hai potuto notare?" Risposta: "Ho notato due cose fondamentali: mi ˆ capitata una ragazza, che aveva gli occhi bendati, ovviamente. Io prendevo le sue mani per guidarla sulla tavola e vedevo che questa era molto indecisa. Mi sembrava molto insicura, aveva le mani rigide. Faceva domande molto imprecise... quasi che avesse paura. Non era abituata a non vederci niente e toccare soltanto." D.: "Non si abbandonava molto?" R.: "No, per niente!" D.: "Quando si ˆ tolta la benda l'atteggiamento ˆ cambiato?" R.: "Completamente. Ha riacquistato tutta la sicurezza. Ha preso la tavola in mano e ha cominciato a scrutarsela." D.: "Che ti ha potuto dire tutto ciø? Nel senso, era sorpresa, aveva scoperto qualcosa di nuovo..." R.: "No, si ˆ messa a fare la critica, a dire 'Questo me lo aspettavo diverso... questo non l'ho toccato proprio...' " D.: "Quante persone hai guidato?" R: "Sei!" D.: "Hai notato se c'era un atteggiamento migliore da seguire, se avresti dovuto interagire con queste persone in un modo piuttosto che in un altro?" R.: "Si, perch‰ c'erano quelle persone che erano pi· espansive e alcuni che conoscevano addirittura le colonne e le strutture dell'opera. Questi erano tranquilli, toccavano, la conoscevano bene, mi dicevano quasi tutto loro. A questa, invece, ho dovuto spiega' tutto io e mi sono trovata in difficolt€. Perch‰ non era facile. Un altro, invece, era molto pi· espansivo, toccava, addirittura metteva in dubbio tutto quello che dicevo io, chiedendomi sempre: 'Ah! Ma sei sicura che ˆ cosŒ? No, perch‰ a me invece non sembra...'. Fu il terzo a cui somministrai la prova. Io ormai avevo preso la mano, avendo gi€ somministrato la prova a due persone prima. Dopo avergli fatto esplorare la tavola da solo, l'abbiamo esplorata insieme. Lui inizia a farmi molte domande, dubbioso. Poi mi dice: 'Ma allora tu ci vedi!'3. Io gli ho spiegato che me lo ero studiato prima. Lui insiste: 'Vabbe' ma tu ci vedi un pochino!'. Ed io: 'Senti, qui non stiamo a discutere di quanto io ci veda...'. Inoltre dava fastidio anche agli altri. Quando io spiegavo a loro, lui: 'Ah! Ma sei sicura che gliela stai a di' bene 'sta cosa?'. E si rivolgeva alla compagna: 'Ma sei sicura che stai a capi' bene?'. Metteva in dubbio tutto quello che dicevo io e che capiva l'altra." D.: "Dall'inizio verso la fine quali sono stati i tuoi cambiamenti? Ovvero, che metodo usavi?" R.: "Io facevo mettere le mani sulla tavola a due persone contemporaneamente. Anche se io avevo inizialmente detto che era meglio fare la prova prima uno e poi l'altro. Io aspettavo uno o due minuti che avessero esplorato bene e poi domandavano cosa avessero notato. Poi facevo ripetere la prova, questa volta guidandoli io. Infine, facevo loro togliere la benda ed effettuare il confronto, dicendo, anche a questo punto, di seguitare a toccare. Con i primi fu difficile, andando avanti con gli altri ˆ stato pi· facile, c'era pi· interazione." D.: "Quando ti proposi di fare quest'esperienza, di guidare la gente al seminario, ti ricordi qual ˆ stata la tua risposta?" R..: "Dissi di si, anche se avevo un po' paura, non l'avevo mai fatto, non sapevo cosa avrei dovuto spiegare a questi. Poi, dopo aver visto le tavole ho pensato 'Vabbe', se me lo studio un po'...'. Alla fine ero sicura che ce l'avrei fatta." (Valerio Sannetti) Domanda: "Quante persone hai guidato?" Risposta: "Cinque persone." D.: "Cosa hai fatto per guidare quelle persone?" R.: "Avevo delle cartine in rilievo, le persone erano bendate e io dovevo loro descrivere cosa rappresentassero le cartine." D.: "In che modo?" R.: "Facendogli toccare tutte le cartine e mostrandogli com'erano sviluppate. E comunque lasciando la libert€ a chi osservava. Cioˆ: uno metteva le mani sulla tavola e io gli davo delle dritte sul modo di esplorare, per fargli capire come si sviluppava l'opera. L'utente era comunque lasciato libero di osservare tutta la cartina da solo." D.: "Prima di fare da timoniere, che preparazione hai fatto?" R.: "Ci siamo preoccupati di vedere quale fosse il modo migliore per far capire ai soggetti l'illustrazione, nella maniera pi· chiara, pi· semplice, pi· lineare possibile." D.: "Cosa hai fatto, per arrivare a tutto ciø, come esperienza pratica?" R.: "Mi sono bendato anch'io e ho studiato le tavole, abbiamo approfondito su libri d'arte... con Massimo D'Elia, in particolare, che ci spiegava." D.: "Durante il seminario, quando hai esposto le cartine alle persone, hai notato dei cambiamenti nel corso della spiegazione, sia da parte tua che da parte dei partecipanti alla prova?" R.: "Da parte mia non pi· di tanto, poich‰ mi ero studiato come fare questa prova. La cosa che mi ha colpito di pi· ˆ stata la gente, che comunque era intimorita da questo fatto di analizzare tattilmente una cosa che, solitamente, guarda. Inizialmente erano un po' spaesati, come se gli togli la bussola. Poi, perø, quando riuscivano a capire la costruzione si scioglievano." (Barbara Cozzolino) Domanda: "Puoi spiegare che tipo di preparazione hai fatto?" Risposta: "Mi sono riunita, con te, Massimo, Valerio ed Emanuela, abbiamo studiato le tavole e consultato testi d'arte. Mi sono bendata anch'io e mi sono lasciata spiegare da Massimo." D.: "Che tavole hai somministrato?" R.. "La pianta e la facciata esterna di S.Croce, di Firenze. D.: "Con quante persone hai effettuato la prova?" R.: "Inizialmente con un gruppo di quattro. Poi, singolarmente, ad altre due ragazze." D.: "Che impressione hai avuto?" R.: "I primi quattro erano molto intimoriti, non vedevano l'ora di togliersi la benda, sembravano impacciati, insicuri. In particolare l'ultima persona che ha effettuato la prova, ovvero quella che ha tenuto la benda pi· a lungo. Mi ˆ sembrata molto sollevata quando si ˆ potuta sbendare e guardare le tavole. Tutti e quattro affermarono di non aver capito molto. Con le altre due ragazze ˆ stato un po' pi· facile, ma hanno comunque capito poco della struttura. Non credo abbiano appreso molto dall'esperienza." D.: "Da cosa ˆ potuto dipendere tutto ciø, secondo te?" R.: "Forse perch‰ anch'io mi trovavo nella loro stessa condizione: nel senso che nemmeno io sono abituata ad esplorare qualcosa tattilmente, a differenza di te, Valerio ed Emanuela. Inoltre non sono esperta di strutture architettoniche, come Massimo." Alla fine di tutte queste prove ho richiesto alcune impressioni. Alcuni hanno detto che ci sarebbe voluto, specie per i dipinti, una maggiore ricerca e che la prova con le opere in rilievo li aveva maggiormente soddisfatti, almeno a livello di forma, se non di piacere (hanno giudicato, infatti, pi· interessante la prova con i dipinti). Altri, invece, hanno ripetuti il d‰j€ vu di alcune opere. Per finire, un ragazzo ha esposto una propria difficolt€: "Quando sto all'esterno e mi trovo vicino ad un cieco mi sento male perch‰ so che io vedo e lui non sa che io sono lŒ". Il collega laureando in psicologia e cieco dalla nascita, citato inizialmente ha risposto repentinamenteche, anche se non vediamo le persone intorno sappiano lo stesso che le persone non ci possono vedere. Ha riportato inoltre il caso di una donna cieca dal carattere pungente in queste situazioni. Quello che ben ricordo ˆ comunque che ha concluso pi· o meno cosŒ: "In ogni caso stai tranquillo, noi non ce la prendiamo." Quest'ultima frase in particolare non nego che mi abbia irritato,, in quanto non era mia intenzione certamente dare delle direttive comportamentali alle paure della gente e ho controbbattuto: "A mio avviso non si puø dare una risposta che parta da quel noi, poich‰ ognuno ˆ un individuo diverso dall'altro, a prescindere dallo stato fisico, per tante ragioni che ˆ inutile elencare. Quindi il mio consiglio, da amico e non da cieco, ˆ che, se hai questa paura o ti presenti o comunque non ti aspettare niente, perch‰ le reazioni possono essere imprevedibili. In quanto, appunto, l'altro ˆ una persona. Noi due, infatti, pur essendo entrambi ciechi, abbiamo comunque un vissuto, una storia e altro che ci rende differenti l'uno dall'altro." Infine ho specificato, sull'onda di questa provocazione, di non pensare che l'arte, in particolare quella pittorica, possa interessare agli altri quanto a me: un mio amico cieco dalla nascita ha confessato, ridendo: "Non me ne po' frega' de meno del quadro. Perø (facendo riferimento ad un quadro di DalŒ), mi ha stimolato molto l'idea che c'era dietro." 2 Massimo D'Elia, Barbara Cozzolino, Valerio Sannetti e Emanuela Musi. 3 Emanuela, cosŒ come Valerio, il tester seguente, ˆ ipovedente.
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